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cliente // MUTA
anno // 2021
Dalla nozione di spazio a quella di luogo: è il primo approccio progettuale per la definizione di una identità visiva che riesca a raccontare e rappresentare un territorio e non solo uno spazio specifico. Il ruolo del nostro studio di comunicazione ruota attorno a questo aumento di significato
che intende i luoghi a partire dalla “loro capacità trasformativa” (Paolo Venturi) e dalla sfida culturale che intendono vincere.
Dalla nozione di “creatività” a quella di “progetto”: intendere i luoghi e nel caso specifico l’ex Palazzo Baronale De Gualtieriis di Castrignano de Greci (Lecce), oggi Centro del Contemporaneo, come strumenti per la costruzione di una identità attraverso una
progettazione grafica capace di individuarne elementi, dettagli, storie e propensioni e valorizzarli in un unico immaginario, dinamico, multiplo, aperto.
Architettura dello spazio (il palazzo), storia dei luoghi, l’arte del ricamo come metafora di una tessitura anche sociale che tiene insieme le storie di una comunità, una lingua antica che rappresenta un passato che nessuno, giustamente, vuole superare; sono gli elementi che compongono il lavoro di ricerca e poi di progettazione dell’identità visiva di KORA, Centro del Contemporaneo dedicato alle arti e alla cultura, nato al Sud, in un posto lontano dal centro, che ambisce a smontare il concetto stesso di periferia.
Le origini di Castrignano si perdono nella leggenda, c’è chi lo vorrebbe fondato dai Candioti di Minoe (Minosse), o dagli ateniesi, cretesi seguaci di Iapige, altri ancora sostengono che la sua etimologia possa derivare da “Castrinus” (nome di un probabilecenturione romano) o dal termine latino “Castrum” (accampamento), ed infine vi è chi lo collegherebbe al “Kastron” bizantino,ad ulteriore conferma del suo strettissimo legame con l’Ellade.
Il feudo di Castrignano nel medioevo appartenne alla contea di Lecce, sin da quando il normanno
Tandredi (conte di Leccee poi re di Sicilia) nel 1190 lo donò a Pietro Indrimi, suo valoroso condottiero.
Tra i feudatari che si avvicendarono a Castrignano,ricordiamo Filippo Prato che lo acquistò da Porzia Tolomei e Alfonso Guevara, successivamente terre e castello furono compratie rivenduti più volte. Nel 1591 il capitano Mario Pagani da Oria, l’acquistò dal barone di Acaja, nel 1610. Ettore Bravda lo vendette a Fabrizio Guarini e nel settembre del 1646 Giuseppe Marchese principe di Montemarano e S. Vito a Gerolamo Maresgallo che eracreditore di Francesco Antonio Prato, ne furono proprietari poi, nel 1679 Raimondo Prototico di Otranto ed infine la famiglia Gualtiericol titolo baronale fino ai provvedimenti legislativi delle “Leggi eversive delle feudalità” (1806-1808) Nicola Gualtieri fece demolire la parte superiore dell’antico torrione che “minacciava rovina” ed edificò un palazzo. Castrignano dei Greci ha conservato il rito religioso greco fino al 1614, anno di morte di Don Menelao Pensa, i cui successori furono tutti di rito latino.
E’ interessante tuttavia notare che anche quando fu adottato in maniera definitiva il ritodella Chiesa di Roma, la parrocchia locale, che era greca, fu retta per volere del popolo da sacerdoti greci.
IL GRIKO
“La Grecia Salentina è un’isola linguistica e culturale, ma non terra di rimorso, come sostenuto
da Ernesto De Martino nell’omonimo libro. Non è un luogo di pianto, di dolore o di miseria, bensì di cori presciati (cuori orgogliosi). Parlando del paese in cui ci troviamo, Castrignano dei Greci, dobbiamo considerare che questo si sviluppa lungo la Via delle Aie o Via Alogna, nell’area tra Martano e Melpignano e nei secoli ha rappresentato un punto di passaggio per diversi popoli provenienti da oriente. Testimonianza è l’invasione nel XV secolo dei turchi, che arrivati ad Otranto nel 1480, proseguirono la loro avanzata per tutto il Salento, decidendo di insediarsi successivamente nei territori di Melpignano e Martano, terre più fertili e rinomate rispetto all’attuale comune di Castrignano. Gli appellativi storici dati ai popoli della Grecìa Salentina sono un’ulteriore testimonianza dei tratti distintivi di questi paesi. I melpignanesi e i martanesi, storicamente li pacci (i pazzi), hanno ricevuto un solo soprannome mentre i castrignanesi più di uno e non benevoli. Venivano chiamati lardusi (spavaldi), occhi pisciati, poiché tutti gli abitanti erano commercianti o calzolai e lavoravano fino a notte fonda a contatto con il petrolio. Costoro, spesso tracomatosi, andavano a commerciare la mattina in strada lacrimando. Infine, venivano soprannominati anche pezze e capiddhri (pezze e capelli), essendo un paese di mercanti che vendevano o barattavano lane e capelli delle donne e delle ragazze per realizzare bambole.
Lo stesso dialetto salentino, attesta o nega il passaggio del popolo turco nel territorio salentino. Difatti, non esiste il passato prossimo in dialetto, ma solo il passato remoto ed i paesi a nord di Corigliano persero nel tempo l’uso della lingua grika mentre a sud ciò non accade. A Castrignano non si sente l’influenza turca, che prevede il passato prossimo, tempo verbale che constata l’invasione ottomana in altri luoghi della Grecìa.
Non esistono reperti archeologici che identificano la Grecìa come un luogo collegato fortemente alla penisola greca, come a Taranto e nel resto della Magna Grecia, ma solo la lingua. Non dimentichiamo che la Grecìa Salentina è un’isola linguistica. Il Griko porta con se una differenzazione semantica e fonetica, quello più puro lo si trova a Melpignano e Calimera. Discrepanze che sottolineano ulteriormente come la lingua è la storia di un territorio anche in assenza di monumenti e reperti archeologici.
I monaci greci, perseguitati nella guerra iconoclastica, nella prima metà del secolo VIII, cacciati si rifugiarono in Italia Meridionale, influenzando la cultura locale.
Solo qualche persona colta scriveva in Griko, ma utilizzando l’alfabeto romano. Con il passare dei secoli l’utilizzo di questa lingua di derivazione elleno fona si è andato perdendo e dagli anni sessanta del secolo scorso le scuole pubbliche della Grecìa hanno introdotto il Griko come lingua di studio per non perdere il contatto con le proprie radici. Oggi la gente non continua più a parlare il Griko. Solo i nonni, forse i padri, ma i nipoti non più. Molti sono andavi via per far fortuna altrove portandosi via con se la tradizione”.
I PATTERN
Grafismi geometrici e illusioni ottiche, le cementine che rivestono i pavimenti delle stanze più suggestive del del Palazzo De Gualtieris insieme con i ricami realizzati sui tessuti antichi, con il loro stile radicale e dirompente hanno naturalmente orientato il processo di creazione di nuovi pattern in stile optical che si collocano tra il design esperienziale e quello ri- generativo. A seguito di una
ricerca fotografica avviata durante i giorni dell’open studio, abbiamo pensato di rieditare i disegni delle cementine e degli schemi concentrici dei ricami in chiave contemporanea, sviluppando una serie di strumenti visivi capaci di mantenere vivo l’immaginario visivo del passato e di suggerirne uno tutto nuovo e vocato al futuro.
Abbiamo così progettato un sistema visivo che diventa parte integrante dell’identità e consentirà un’applicazione su fotografie e visual grafici che in prospettiva renderanno la comunicazione sempre coerente con il progetto generale e riconoscibile perché caratterizzante il luogo. Potranno dunque essere realizzati degli output dinamici utilizzando semplici segni grafici in grado di creare equilibri e generare figure complesse esteticamente e comunicativamente efficaci.
KORATYPE
Il ricamo come elemento di ispirazione, mezzo espressivo, segno grafico contemporaneo. Simbolo di un sapere artigianale che attraversa i tempi, crea forme e legami sempre nuovi, sulla base di schemi grafici capaci di infinite combinazioni. Partendo dalla parola centro, in riferimento alla vocazione di kora – quale centro del contemporaneo – abbiamo immediatamente pensato ai centrini tessuti a mano e all’arte del ricamo tramandata di generazione in generazione dalle donne di Castrignano Dé Greci, che nel Palazzo de Gualtieris hanno creato un piccolo punto di riferimento allestendo un museo storico dove è possibile ammirare alcuni tessuti unici e pregiati, nel quale realizzano ricami su commissione e laboratori per formare le ricamatrici di domani.
Abbiamo avuto il piacere di osservare dal vivo le varie fasi di produzione di un ricamo e di ragionare, sulle affinità grafiche di segni e disegni concentrici come base di partenza per sviluppare
la font di kora. Sono nati caratteri, numeri e lettere, che trovano una giusta applicazione in analogico e in digitale.
Abbiamo individuato nella concentricità dello schema e nell’intreccio dei tessuti anche una connessione concettuale con il modello di diffusione del sapere popolare, che si propaga di generazione in generazione come una trama infinita che lega il passato, il presente e il futuro.